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Bankitalia: a fine 2011
crollo degli investimenti esteri

Via Nazionale conferma che a dicembre dello scorso anno c’è stata una fuga dei titoli di stato sia da parte degli investitori italiani che da quelli stranieri che hanno allocato altrove risorse per 24 miliardi di euro

MILANO – Crollo a fine 2011 degli investimenti esteri in titoli italiani. E’ quanto emerge dal supplemento al bollettino statistico di Bankitalia “Bilancia dei pagamenti e posizione patrimoniale sull’estero”.

Nel mese di dicembre i residenti hanno effettuato disinvestimenti netti da titoli di portafoglio esteri per 10,5 miliardi. I non residenti hanno effettuato disinvestimenti netti per 24,0 miliardi, determinati interamente da vendite nette di titoli di debito (23,5 miliardi), da porre in connessione alle tensioni sui debiti sovrani dell’area dell’euro.

Nel mese di dicembre i non residenti hanno effettuato investimenti diretti in Italia per 3,2 miliardi, i residenti investimenti pari a 5,3 miliardi. Nei dodici mesi terminanti in dicembre il saldo ha registrato deflussi netti per 23,0 miliardi, in gran parte dovuti a rilevanti operazioni di rimborso o erogazione di prestiti da parte di imprese italiane verso le controllate estere.

Banca d’Italia informa anche che nei dodici mesi terminati in dicembre il disavanzo del conto corrente (50,6 miliardi di euro) della bilancia dei pagamenti si è ridotto rispetto al mese precedente. Il miglioramento rispetto a dicembre 2010, pari a 3,5 miliardi, è dovuto soprattutto alla riduzione dei disavanzi nei beni e nei servizi.

(22 febbraio 2012)

Investimenti: torna la fiducia degli stranieri nell’Italia

13 agosto 2015

FOCUS BNL – Nuovo equilibrio nella bilancia dei pagamenti italiana – Tornano gli investimenti degli stranieri sui titoli pubblici del nostro Paese dopo anni difficili, ma anche gli italiani hanno ripreso ad investire di più sui titoli esteri: nel I trimestre 2015, lo stock degli investimenti italiani all’estero ha raggiunto i 565 miliardi di euro.

investimenti

italia

Nei mesi più difficili della crisi, le preoccupazioni per la tenuta dei conti avevano portato gli stranieri ad allontanarsi dall’economia italiana. Tra il 2010 e il 2012, i disinvestimenti netti di titoli pubblici avevano superato i 110 miliardi di euro e la raccolta netta sull’estero delle banche si era ridotta di oltre 120 miliardi.

In quegli anni, era emerso un profondo squilibrio nella bilancia dei pagamenti italiana, nonostante il deficit corrente avesse iniziato a ridursi dal massimo del 3,5% del Pil raggiunto nel 2010. Per compensare il minore afflusso di risorse dall’estero, un nuovo equilibrio era stato trovato ricorrendo al finanziamento sul conto intrattenuto dalla Banca d’Italia presso la Bce (TARGET2). In condizioni normali il saldo di questo conto si muove intorno allo zero. Ad agosto del 2012, il disavanzo aveva raggiunto i 289 miliardi di euro.

Negli ultimi anni, la situazione è migliorata. Il saldo corrente è divenuto positivo, con un avanzo che nel 2014 si è avvicinato al 2% del Pil. Lo scorso anno ha visto, inoltre, il ritorno degli stranieri sui titoli italiani, con oltre 50 miliardi di euro investiti in titoli pubblici e quasi 10 in obbligazioni bancarie. I primi mesi del 2015 hanno confermato queste favorevoli tendenze. Il ritorno dell’investimento straniero, insieme ad un nuovo equilibrio del conto corrente, ha favorito la riduzione della posizione debitoria della Banca d’Italia presso la Bce. Il saldo sul TARGET2 è sceso stabilmente al di sotto dei 200 miliardi di euro.

Rimangono lontani i valori di equilibrio degli anni precedenti la crisi. Le ragioni sono diverse. Una parte della risposta può essere trovata nelle scelte di investimento degli italiani. Gli stranieri sono tornati ad investire in Italia, ma gli italiani hanno ripreso a guardare all’estero con maggiore intensità del passato. Nei primi cinque mesi del 2015 oltre 80 miliardi di euro sono stati trasferiti fuori dall’Italia per investimenti di portafoglio, aggiungendosi ai quasi 100 del 2014.

Da non sottovalutare, inoltre, la difficoltà che l’Italia continua ad avere nell’attrarre investimenti diretti dall’estero. Una difficoltà che si confronta con la tendenza degli italiani ad accrescere sempre più gli investimenti effettuati all’estero per l’organizzazione di nuove attività produttive o per l’acquisto di partecipazioni di controllo in aziende straniere. Negli ultimi sette anni, a fronte di oltre 160 miliardi di euro di investimenti all’estero degli italiani, quelli esteri in Italia si sono fermati intorno ai 60 miliardi. Nel I trimestre 2015, lo stock degli investimenti italiani all’estero ha raggiunto i 565 miliardi di euro, mentre quello degli investimenti esteri in Italia è risultato inferiore ai 420 miliardi.

Il ritorno ad una condizione di equilibrio dei conti con l’estero italiani passa, dunque, oltre che per il consolidamento della fiducia degli stranieri nel nostro Paese, per un ritrovato interesse degli italiani nella loro economia.

Conto corrente: da un profondo deficit ad un ampio surplus

All’inizio degli anni Duemila, i conti con l’estero dell’Italia avevano iniziato a mostrare una tendenza verso un graduale peggioramento. Il saldo del conto corrente, dato dalla differenza tra i crediti (che comprendono gli importi incassati dall’estero per l’esportazione di merci o servizi e per il pagamento di redditi da lavoro e da capitale) e i debiti (che comprendono gli importi trasferiti verso l’estero per le stesse tipologie di operazioni), era divenuto negativo nel 2002. Negli anni successivi, un aumento dei debiti maggiore di quello dei crediti aveva determinato un ampliamento del deficit, passato dallo 0,3% del Pil all’1,4% nel 2007. La prima parte della crisi aveva visto un ulteriore peggioramento: una caduta dei crediti più ampia di quella dei debiti aveva determinato un aumento del deficit, che, nel 2010, aveva superato i 55 miliardi di euro, il 3,5% del Pil.

Nella seconda parte della crisi, la situazione è cambiata: la domanda interna si è mantenuta debole, mentre quella estera ha iniziato a rafforzarsi. Nel 2013, il saldo di parte corrente è tornato positivo, per poi registrare un avanzo prossimo ai 31 miliardi nel 2014. In soli quattro anni, il miglioramento del saldo corrente ha superato gli 85 miliardi: da un deficit del 3,5% del Pil ad un surplus dell’1,9%. Oltre l’80% di questo miglioramento è spiegato dall’aumento dei crediti, cresciuti di più del 15%, a fronte di un calo dei debiti di poco superiore al 2%. Questa tendenza è proseguita nei primi mesi del 2015: tra gennaio e maggio, l’avanzo corrente si è avvicinato ai 9 miliardi di euro, a fronte dei 3,5 dello stesso periodo del 2014.

Il saldo di parte corrente della bilancia dei pagamenti italiana

Guardando le singole componenti del conto corrente, emerge con chiarezza come le merci spieghino la parte prevalente di questo miglioramento, con il relativo saldo passato da un deficit superiore ai 20 miliardi di euro nel 2010 ad un avanzo prossimo ai 50 miliardi nel 2014. In termini di Pil, da un deficit dell’1,4% ad un surplus del 3,1%, grazie al calo delle importazioni, frutto dell’indebolimento della domanda interna, ma soprattutto come risultato dell’aumento delle esportazioni. Nei primi cinque mesi del 2015, il saldo delle merci è stato pari a 20,7 miliardi, a fronte dei 16,7 del 2014.

Durante gli ultimi anni, la bilancia dei pagamenti italiana ha beneficiato anche del miglioramento del conto dei servizi. Il saldo, strutturalmente negativo, si era stabilizzato nella prima parte della crisi intorno ai 10 miliardi di euro. Nel 2013 e nel 2014, è stato registrato un leggero surplus. Nel comparto dei viaggi, l’avanzo è passato da 8,8 miliardi nel 2010 a 12,5 miliardi nel 2014. Il leggero aumento dei debiti, legato alle spese degli italiani per viaggi all’estero, è stato più che compensato dalla crescita dei crediti, con un incremento dell’esborso degli stranieri in Italia superiore al 15% nel complesso degli ultimi quattro anni, da 29 ad oltre 34 miliardi.

Aumentano gli investimenti diretti all’estero degli italiani

Oltre al conto corrente, che, registrando tutte le operazioni aventi per oggetto merci, servizi o redditi, viene normalmente considerato per rappresentare i conti con l’estero di un paese, la bilancia dei pagamenti si compone anche del conto finanziario, nel quale vengono contabilizzate le movimentazioni di natura finanziaria, finalizzate sia alla realizzazione di investimenti diretti sia alla semplice conclusione di investimenti di portafoglio o al trasferimento di risorse finanziarie per operazioni quali, ad esempio, la concessione di prestiti.

Il saldo del conto finanziario è dato dalla differenza tra quanto gli italiani investono all’estero e quanto gli stranieri investono in Italia. All’interno della bilancia dei pagamenti, i due saldi, quello corrente e quello finanziario, sono tra loro strettamente collegati: un deficit corrente si accompagna generalmente ad un saldo negativo di quello finanziario, risultato del maggiore afflusso di risorse dall’estero necessario a finanziare lo squilibrio corrente.

Il saldo del conto finanziario della bilancia dei pagamenti italiana

In Italia, per lungo tempo, il conto finanziario ha registrato un saldo negativo, come conseguenza del persistente deficit corrente. All’inizio degli anni Duemila, il disavanzo del conto finanziario, frutto di un afflusso di capitali dall’estero più ampio delle risorse trasferite all’estero dagli italiani, risultava pari a circa 5 miliardi di euro. Nel corso degli anni Duemila, il disavanzo si era ampliato, avvicinandosi a 90 miliardi nel 2010, il 5,5% del Pil. Negli ultimi quattro anni, come per il conto corrente, anche il conto finanziario ha mostrato un miglioramento: il saldo è divenuto positivo nel 2013, per poi superare i 50 miliardi di euro nel 2014. Dietro questo andamento vi sono motivazioni differenti, che vanno ad interessare le singole componenti del conto finanziario.

Gli investimenti diretti, ad esempio, registrano generalmente un saldo positivo, rappresentativo della difficoltà del paese nell’attrarre un volume di investimenti dall’estero capace di compensare quelli realizzati all’estero dagli italiani. Questa tendenza è apparsa particolarmente evidente durante la crisi. Tra il 2000 e il 2007, gli italiani avevano effettuato in media ogni anno poco più di 28 miliardi di euro di investimenti diretti all’estero, con un massimo di quasi 90 miliardi nel 2007. Nello stesso periodo gli investimenti esteri in Italia si erano fermati poco sotto i 26 miliardi. Dallo scoppio della crisi entrambi i flussi si sono ridotti, ma con intensità differente. Quelli italiani all’estero si sono mantenuti su livelli elevati, con oltre 20 miliardi di investimenti medi all’anno.

Quelli esteri in entrata sono, invece, scesi al di sotto dei 10 miliardi, registrando, sia nel 2008 sia nel 2012, valori addirittura negativi, rappresentativi di disinvestimenti netti. Nel 2014, gli investimenti italiani all’estero sono stati pari a quasi il doppio di quelli esteri in Italia. Nel complesso degli ultimi sette anni, a fronte di oltre 160 miliardi di euro di investimenti effettuati dagli italiani all’estero, quelli esteri in Italia si sono fermati poco sopra i 60 miliardi. Questa tendenza è proseguita anche nella prima parte di quest’anno: tra gennaio e maggio, gli investimenti all’estero degli italiani si sono avvicinati agli 11 miliardi, mentre quelli esteri in Italia si sono fermati sotto i 5 miliardi.

Tornano a crescere gli investimenti di portafoglio all’estero degli italiani

Diverso appare, invece, il contributo svolto dagli investimenti di portafoglio nella composizione del conto finanziario. Il saldo di questa voce, dato dalla differenza tra quanto gli italiani investono all’estero, per operazioni di gestione della propria liquidità non finalizzate alla realizzazione di investimenti diretti, e quanto gli stranieri investono in Italia, è risultato negli anni strutturalmente negativo, con l’esclusione di quanto accaduto nel biennio 2010-11. Guardando l’andamento delle singole voci, appare evidente l’effetto della crisi dei debiti sovrani, sulle scelte di investimento sia degli stranieri in Italia sia degli italiani all’estero.

Tra il 2000 e il 2009, gli stranieri investivano in media ogni anno 65 miliardi di euro di nuove risorse in strumenti finanziari italiani. Le tensioni sui mercati hanno colpito la fiducia degli investitori: tra il 2010 e il 2012, le preoccupazioni per la tenuta dei conti del paese hanno portato a disinvestimenti netti per oltre 90 miliardi di euro. Negli ultimi anni, si è, però, assistito ad un ritorno della fiducia, con quasi 100 miliardi di nuove risorse investite nel solo 2014, dopo gli oltre 35 dell’anno precedente. I primi mesi del 2015 hanno confermato questa tendenza, sebbene con una leggera attenuazione rispetto a quanto era stato registrato nello stesso periodo del 2014.

L’attenzione degli italiani per gli investimenti di portafoglio all’estero è risultata sempre meno intensa di quella mostrata dagli stranieri per le attività finanziarie italiane: tra il 2000 e il 2010, ogni anno venivano investiti in media 40 miliardi di euro di nuove risorse. Nel pieno della crisi, i disinvestimenti degli stranieri hanno portato gli italiani a compiere scelte simili, anche come conseguenza della necessità di sostituire le risorse che venivano a mancare, con vendite nette che nel solo biennio 2011-12 hanno superato i 90 miliardi. Negli ultimi due anni, il ritorno dei mercati verso condizioni di normalità ha portato gli italiani ad investire oltre 100 miliardi di nuove risorse in attività estere. Tra gennaio e maggio del 2015, gli acquisti all’estero degli italiani hanno accelerato, con più di 80 miliardi destinati ad investimenti di portafoglio.

Guardando le scelte di portafoglio degli stranieri in Italia emerge un’attenzione particolare per i titoli di debito a lungo termine, soprattutto quelli pubblici e quelli bancari. L’investimento in azioni risulta, invece, poco rilevante. Prima della crisi dei debiti sovrani, gli stranieri investivano ogni anno in media oltre 30 miliardi di euro di nuove risorse in titoli pubblici e circa 15 miliardi in obbligazioni bancarie. Tra il 2010 e il 2013, l’uscita dal mercato dei titoli pubblici è apparsa evidente, con disinvestimenti netti complessivi per oltre 100 miliardi. Anche i titoli bancari hanno sofferto, perdendo più di 20 miliardi. Il 2014, ha visto un forte ritorno degli stranieri sui titoli italiani: oltre 50 miliardi di nuove risorse sono state investite in titoli pubblici e quasi 10 nelle obbligazioni bancarie. Questa rinnovata attenzione è proseguita anche nei primi mesi del 2015.

L’interesse degli italiani per i titoli stranieri appare, invece, concentrato sul comparto dei titoli di debito a lungo termine e su quello dei fondi comuni. Negli ultimi quindici anni, gli italiani hanno destinato in media ogni anno quasi 30 miliardi di euro di nuove risorse ai fondi comuni esteri. Nel solo biennio 2013-14, ne sono stati investiti oltre 100, ai quali se ne sono aggiunti altri 50 nei primi cinque mesi del 2015. L’acquisto di titoli di debito a lungo termine esteri ha, invece, seguito un andamento che ha riflesso quanto accaduto al portafoglio di titoli italiani detenuti da investitori stranieri. Fino al 2009 venivano registrati ogni anno in media acquisti netti superiori ai 25 miliardi; tra il 2010 e il 2013, i disinvestimenti hanno raggiunto i 150 miliardi, mentre nell’ultimo anno e mezzo si è assistito ad un ritrovato interesse da parte degli italiani per questa tipologia di investimento.

Rimane ampio il disavanzo dell’Italia sul TARGET2

Nella bilancia dei pagamenti sono, dunque, riportate tutte le transazioni, commerciali e finanziarie, che un paese conclude con il resto del mondo. In condizioni normali, i movimenti commerciali trovano contropartita in quelli finanziari. Un deficit di parte corrente pone il paese nella necessità di reperire le risorse necessarie, ad esempio, finanziando il disavanzo con la vendita a soggetti esteri di titoli pubblici, obbligazioni private o qualsiasi altra tipologia di strumento finanziario. Qualora, però, nei mercati si sviluppino tensioni, frutto anche di una crisi di fiducia tra i diversi paesi, possono sorgere problemi nel trasferimento di risorse, rendendo complesso il raggiungimento di una condizione di equilibrio.

In questa situazione, la soluzione viene trovata con spostamenti di risorse tra le banche centrali nazionali e la Bce. Questi movimenti trovano rappresentazione nel saldo del sistema dei pagamenti transeuropeo (TARGET2). In condizioni normali il saldo si muove intorno allo zero; durante la crisi dei debiti sovrani la situazione è apparsa differente; oggi, sebbene vi siano miglioramenti, non si è ancora tornati ad una situazione di normalità.

Fino a tutta la prima parte della crisi, nonostante un ampio deficit corrente, l’Italia riusciva a trovare una condizione di equilibrio nei conti con l’estero attraendo un flusso adeguato di risorse. Già nel 2010 erano, però, emersi alcuni segnali di difficoltà, risultato della crisi greca che viveva uno dei primi momenti di tensione. Successivamente, la situazione è divenuta più complessa, portando gli investitori esteri a disinvestire oltre 100 miliardi di euro in titoli pubblici nel biennio 2011-12. Le tensioni hanno interessato anche il sistema bancario, con la raccolta netta sull’estero ridottasi in due anni di oltre 120 miliardi di euro.

Come prima contropartita di questo deflusso di risorse, tra il 2011 e il 2012, gli italiani hanno disinvestito quasi 100 miliardi di euro di titoli esteri precedentemente acquistati. L’equilibrio all’interno della bilancia dei pagamenti è stato, però, trovato ricorrendo al finanziamento sul conto intrattenuto dalla Banca d’Italia presso la Bce: il saldo sul TARGET2, su livelli di equilibrio negli anni precedenti, è divenuto negativo, avvicinandosi ai 200 miliardi a dicembre 2011 per poi toccare il livello massimo di 289 miliardi a agosto 2012.

La situazione ha poi iniziato gradualmente a migliorare. È tornato l’interesse sui titoli del debito pubblico, con acquisti netti superiori a 70 miliardi di euro nel biennio 2013-14. Gli investimenti esteri in titoli privati italiani sono tornati a crescere. Il saldo corrente è migliorato, registrando un surplus dopo anni di deficit. Gli italiani hanno, però, ricominciato ad acquistare titoli esteri più intensamente di prima, con deflussi che nel solo 2014 si sono avvicinati ai 100 miliardi. Il saldo sul TARGET2 è sceso nella seconda metà del 2014 al di sotto dei 200 miliardi, rimanendo, però, su livelli elevati.

Il miglioramento è proseguito anche nei primi mesi del 2015, con un interesse costante da parte degli stranieri sia per i titoli pubblici sia per quelli privati. La raccolta netta sull’estero delle banche è risultata positiva, sebbene frenata dalla possibilità di ottenere risorse tramite le operazioni di rifinanziamento a più lungo termine presso la Banca d’Italia. Il saldo sul TARGET2 si è, invece, stabilizzato intorno ai livelli raggiunti in precedenza. Ha continuato a pesare, tra le altre cose, un deflusso di risorse per l’acquisto di titoli esteri da parte degli italiani, che, nei primi cinque mesi dell’anno, ha superato gli 80 miliardi, oltre ad un volume di investimenti diretti all’estero degli italiani stabilmente maggiore di quello degli stranieri in Italia. Un saldo del TARGET2 intorno allo zero, come accadeva negli anni precedenti la crisi, rimane, dunque, lontano.

Una posizione patrimoniale netta sull’estero da seguire con attenzione

Tutti i movimenti contabilizzati nel conto finanziario contribuiscono a determinare la posizione patrimoniale sull’estero di un paese, che fornisce una rappresentazione della consistenza delle attività estere detenute dagli italiani e delle passività italiane detenute da stranieri. La posizione patrimoniale netta sull’estero, data dalla differenza tra le attività e le passività, descrive il grado di dipendenza di un paese dal resto del mondo nel reperire le risorse finanziarie necessarie per l’equilibrio dei conti con l’estero ed è per questo motivo uno dei parametri considerati nella procedura degli squilibri eccessivi della Commissione europea, con una soglia di allerta fissata al 35% del Pil.

Negli ultimi quindici anni, la posizione patrimoniale netta sull’estero dell’Italia è risultata costantemente negativa, come conseguenza del persistente deficit di parte corrente, che ha posto il Paese nelle condizioni di dover attrarre capitali dall’estero. Nel 2000, il valore delle attività estere detenute dagli italiani superava i 1.200 miliardi di euro. Le passività italiane detenute da stranieri valevano quasi 1.300 miliardi. Il saldo netto della posizione patrimoniale sull’estero dell’Italia risultava negativo per circa 90 miliardi, poco più del 7% del Pil. Negli anni successivi, l’aumento delle passività è risultato stabilmente più forte di quello delle attività.

All’inizio della crisi, il saldo negativo aveva superato i 400 miliardi, per poi avvicinarsi ai 500 miliardi nel 2013, il valore più alto dall’inizio degli anni Duemila. Il surplus di parte corrente registrato negli ultimi anni ha favorito una riduzione del saldo negativo della posizione patrimoniale sull’estero dell’Italia, risultato pari a quasi 480 miliardi alla fine del I trimestre 2015, un valore stimato in poco meno del 30% del Pil. A marzo 2015, il valore delle attività estere detenute dagli italiani ha superato i 2.300 miliardi di euro, mentre quello delle passività italiane detenute da stranieri si è avvicinato ai 2.850 miliardi. In quindici anni, le attività sono quasi raddoppiate, mentre le passività sono cresciute del 120%.

La posizione patrimoniale netta sull’estero negativa è il risultato di situazioni differenti tra le diverse componenti dei conti. Gli investimenti diretti esteri presentano, ad esempio, un saldo positivo, risultato prevalentemente di quanto accaduto durante la crisi. Tra il 2000 e il 2007, lo stock di investimenti diretti effettuati all’estero dagli italiani cresceva da 215 a 376 miliardi di euro, un ritmo di sviluppo simile a quello degli investimenti diretti effettuati in Italia da stranieri, passati da 164 a 343 miliardi. Durante la crisi, quelli italiani all’estero hanno rallentato, continuando, però, a crescere in maniera significativa e raggiungendo i 565 miliardi di euro nel I trimestre 2015. Quelli esteri in Italia hanno, invece, sensibilmente decelerato, fermandosi sotto i 420 miliardi.

In nove anni, si è accumulata una distanza tra lo stock di investimenti diretti effettuati dagli italiani all’estero e quello degli investimenti esteri in Italia prossimo ai 150 miliardi, circa il 10% del Pil. Guardando la tipologia degli strumenti finanziari utilizzata per effettuare le singole operazioni emerge come gli investimenti all’estero degli italiani si concentrino nel comparto delle azioni non quotate, descrivendo un processo di internazionalizzazione produttiva, che ha accelerato in risposta alle difficoltà della crisi.

Diversa, invece, la situazione degli investimenti di portafoglio, che presentano un saldo costantemente negativo. Nel I trimestre 2015, il valore delle attività estere complessivamente detenute dagli italiani sotto forma di investimenti di portafoglio ha superato i 1.000 miliardi di euro, mentre quello delle passività italiane possedute da stranieri si è avvicinato ai 1.500 miliardi. Guardando i due portafogli emergono evidenti differenze. Gli italiani preferiscono acquistare quote di fondi comuni esteri, ai quali destinano oltre 500 miliardi di euro. Un peso significativo viene attribuito anche alle obbligazioni societarie, mentre poco rilevante appare sia l’investimento in azioni sia quello in titoli del debito pubblico. Gli stranieri preferiscono, invece, investire in titoli pubblici italiani, destinandovi oltre 860 miliardi di euro.

E’ l’export del risparmio il vero made in Italy

C’è chi lavora per portare soldi in Italia, contribuendo con il suo impegno all’export di beni e servizi per far apprezzare in tutto il mondo il made in Italy, ma c’è anche chi sta lavorando con altrettanto ed ancora maggiore successo per portare all’estero il risparmio degli italiani. Va da sé che non si tratta degli stessi denari, ma di un problema di allocazione delle risorse e di opportunità di investimento: se l’Italia è tornata vincente nella competizione internazionale quando si tratta di commercio, si sta desertificando dal punto di vista degli impieghi di portafoglio. Non solo non attrae capitali esteri, ma esporta quote crescenti del suo risparmio interno.

E’ un tema altamente politico, per via del trend strutturale che sta assumendo, visto che incide negativamente sui processi di crescita dell’economia reale. Non c’è più, sullo sfondo, un problema di sfiducia o peggio il timore per la stabilità del debito pubblico, ma il congiunto operare di tre fenomeni. C’è l’attivismo delle firme straniere che operano nella raccolta del risparmio attraverso fondi di investimento, che erode il tradizionale impiego in depositi bancari ed obbligazioni retail emesse da questi istituti. Conta assai, poi, il venir meno nel giudizio comune del valore dell’investimento immobiliare, colpito senza remore dalla tassazione e dal refrain ambientalista incentrato sul consumo del suolo dovuto ad un modello di espansione edilizia che procede in orizzontale piuttosto che in verticale: è stato travolto il tradizionale modello rappresentato, temporalmente e funzionalmente, dalla accumulazione del risparmio, dall’acquisto della casa e dal pagamento del mutuo contratto a complemento.

Il mercato dei mutui, in ripresa, è prevalentemente sostenuto dalle surroghe. In terzo luogo, si sconta la trasformazione improvvida e mal preparata del nostro sistema bancario, storicamente fondato su aziende di credito abilitate solo al credito commerciale a breve ed in territori limitati. La liberalizzazione del credito, che ha interessato prima il versante della raccolta e poi quello degli impieghi con l’adozione della banca universale, è stata bilanciata dalle aggregazioni, ma senza che queste sviluppassero una adeguata capacità di assistere le piccole e medie imprese nel necessario processo di crescita, capitalizzazione e di trasformazione dell’orizzonte temporale del credito. La banca, infine, ha progressivamente perso il ruolo di fiduciario dell’imprenditore, per trasformarsi dapprima in un partner sempre più esoso e poi una sorta di agente del Fisco.

Gli italiani stanno aumentando i propri investimenti all’estero ad una velocità ben superiore a quella con cui accumulano saldi attivi della bilancia commerciale. Il conto finanziario della bilancia dei pagamenti, che riguarda principalmente gli investimenti diretti e quelli di portafoglio, mostra ormai da due anni un andamento del saldo attivo progressivamente crescente. Sempre più spesso, il saldo finanziario è superiore rispetto a quello del conto corrente, che riguarda invece i movimenti di merci, servizi e redditi.

Già nel 2014 il saldo del conto finanziario è stato positivo, di ben 46 miliardi di euro: di questo ammontare, quindi, il flusso degli investimenti italiani all’estero ha superato quello dei non residenti in Italia. Nello stesso anno, il conto corrente ha mostrato un saldo attivo di 31 miliardi (+49 per merci, -0,5 per servizi, -17 per redditi primari e secondari). Il saldo negativo della componente redditi secondari (che in passato erano classificati come “trasferimenti”) deriva dal fatto che l’Italia paga all’estero, al di là delle rimesse degli immigrati (circa 6 miliardi di euro l’anno), interessi e dividendi per un ammontare ben superiore rispetto a quanto incassa dall’estero allo stesso titolo. Ciò, a sua volta, deriva dal fatto che la posizione finanziaria netta sull’estero dell’Italia è negativa: a giugno scorso, il saldo passivo è stato pari al 26,7% del Pil. Alla fine del primo trimestre, il saldo era di -423 miliardi di euro (Pubbliche amministrazioni -766 miliardi, Banche -265 miliardi e Altri settori +579 miliardi).

Per quanto riguarda i primi sette mesi del 2015, il conto corrente della bilancia dei pagamenti ha segnato un saldo positivo di 14,4 miliardi. Nel conto finanziario, la domanda di titoli di Stato italiani da parte degli investitori esteri ha comportato acquisti netti per 56,7 miliardi e titoli azionari per 16,7 miliardi. Gli italiani, invece, hanno effettuato acquisti netti di titoli esteri di portafoglio per 98 miliardi (di cui circa due terzi in quote di fondi comuni) ed investimenti diretti per 9,7 miliardi di euro.

La Banca d’Italia ha sottolineato in proposito che “l’espansione del comparto del risparmio gestito, in cui i fondi di diritto estero rivestono un ruolo molto rilevante, è dipesa dallo spostamento dei risparmi da titoli di Stato e obbligazioni bancarie retail verso forme di investimento più diversificate. Agli acquisti di titoli hanno contribuito anche le banche italiane, effettuando investimenti per 25,9 miliardi in obbligazioni estere (principalmente titoli pubblici francesi, tedeschi e spagnoli)”. In complesso, nei primi sette mesi dell’anno, gli italiani hanno investito all’estero 11,3 miliardi più di quanto non abbiano fatto gli stranieri in Italia.

Mentre si continua a sostenere la necessità di attrarre investimenti esteri in Italia, non ci si è accorti che è il risparmio italiano a prendere il volo: non per colpa dei cittadini, ma delle scelte nella allocazione che viene fatta dagli intermediari.

Come ulteriore paradosso, va sottolineato che una quota consistente della liquidità immessa dalla Bce con i suoi vari interventi, dalle Tltro al Qe, si sta riversando sempre più all’estero. E’ un fenomeno che è divenuto sempre più vistoso a partire dal luglio del 2014 e che non riguarda solo l’Italia, ma tutti i Paesi GIIPS (Grecia, Italia, Irlanda, Portogallo e Spagna) rispetto ai Paesi DNLF (Germania, Olanda, Lussemburgo e Finlandia) nell’ambito del sistema Target 2 che registra i rapporti tra le Banche centrali dell’Eurosistema. Il saldo passivo del nostro Paese nel Target 2, finalmente ridottosi a 130 miliardi di euro nel luglio del 2014 dopo aver toccato il peggior livello con -289 miliardi nell’agosto del 2012, si è nuovamente ampliato fino a raggiungere i -232 miliardi a settembre scorso, con una vistosa accelerazione rispetto a marzo quando era ancora di -163 miliardi. Non c’è un nuovo problema di sfiducia nell’Italia, ma di funzionamento dei mercati. Le rilevazioni del sistema Target 2, che rappresentano un sottoinsieme limitato all’area euro delle relazioni finanziarie con l’estero dei residenti in ciascun Paese, dimostrano una nuova, progressiva, divaricazione tra i due gruppi di Paesi, che sottende un altro, ancora taciuto, fallimento della politica monetaria nel contesto di un’area non ottimale.

Il sistema economico italiano si sta debancarizzando: dai 4.220 miliardi intermediati nel 2012, a luglio scorso è arrivato a 3.951 miliardi (-269 miliardi). La finanziarizzazione prosegue: il patrimonio totale netto dei fondi comuni di diritto italiano e di quelli di diritto estero controllati da intermediari italiani è passato dai 399 miliardi del 2012 ai 596 miliardi del secondo semestre 2015 (+197 miliardi), con un flusso netto di nuova raccolta pari a 147 miliardi.

Ancora più veloce è stata la allocazione degli investimenti di portafoglio all’estero: considerando il totale in azioni, fondi comuni e strumenti di debito, nei 15 mesi che vanno dalla fine del primo trimestre del 2014 a quella del secondo trimestre di quest’anno, le attività italiane all’estero sono passate da 842 a 1.089 miliardi di euro (+247 miliardi). Nello stesso periodo, il saldo corrente della bilancia dei pagamenti è stato attivo per 40 miliardi. Gli investimenti di portafoglio italiani all’estero sono quindi cresciuti sei volte più velocemente delle risorse nette acquisite con l’export bi beni e servizi e le altre relazioni correnti.

E’ questa la più profonda riforma strutturale che l’economia italiana sta subendo: è diventata esportatrice netta di risparmio, l’ultimo tesoro che ci era rimasto.

C’è un conto che non torna: la competitività internazionale della produzione italiana e la capacità di allocare convenientemente i fattori della produzione, ivi compreso il capitale, è testimoniata dal saldo attivo della bilancia commerciale,  ma sta subendo un consistente drenaggio di risparmio.

 01/11/2015

 

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